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giovedì 17 febbraio 2011

ESPROPRI: TERMINI DECADENZA

Quanto agli effetti della decadenza del vincolo preordinato all’espropriazione, l’art. 9, comma 3, del T.U. Espropri prevede che “Se non è tempestivamente dichiarata la pubblica utilità dell'opera, il vincolo preordinato all'esproprio decade e trova applicazione la disciplina dettata dall'articolo 9 del testo unico in materia edilizia approvato con decreto del Presidente della Repubblica 6 giugno 2001, n. 380”. In altre parole, l’area sulla quale insisteva un vincolo preordinato all’esproprio, decaduto perché nel termine quinquennale di sua vigenza non è intervenuta la dichiarazione di pubblica utilità dell’opera, viene considerata alla stregua di un’area c.d. bianca ovvero priva di destinazione urbanistica, con conseguente applicazione della disposizione di cui all’art. 9 del T.U. dell’Edilizia, che qui di seguito si riporta. “1. Salvi i più restrittivi limiti fissati dalle leggi regionali e nel rispetto delle norme previste dal decreto legislativo del 29 ottobre 1999 n. 490, nei comuni sprovvisti di strumenti urbanistici sono consentiti: a) gli interventi previsti dalle lettere a), b) e c) del primo comma dell'articolo 3 che riguardino singole unità immobiliari o parti di esse; b) fuori dal perimetro dei centri abitati, gli interventi di nuova edificazione nel limite della densità massima fondiaria di 0,03 metri cubi per metro quadro; in caso di interventi a destinazione produttiva, la superficie coperta non può comunque superare un decimo dell'area di proprietà. 2. Nelle aree nelle quali non siano stati approvati gli strumenti urbanistici attuativi previsti dagli strumenti urbanistici generali come presupposto per l'edificazione, oltre agli interventi indicati al comma 1, lettera a), sono consentiti gli interventi di cui alla lettera d) del primo comma dell'articolo 3 del presente testo unico che riguardino singole unità immobiliari o parti di esse. Tali ultimi interventi sono consentiti anche se riguardino globalmente uno o più edifici e modifichino fino al 25 per cento delle destinazioni preesistenti, purché il titolare del permesso si impegni, con atto trascritto a favore del comune e a cura e spese dell'interessato, a praticare, limitatamente alla percentuale mantenuta ad uso residenziale, prezzi di vendita e canoni di locazione concordati con il comune ed a concorrere negli oneri di urbanizzazione di cui alla sezione II del capo II del presente titolo”.

A questo ultimo proposito, si segnala che il Consiglio di Stato, Sez. IV, con la recentissima sentenza 23 settembre 2004 n. 6216, ha affermato che “la scadenza di un vincolo di inedificabilità relativo ad un terreno per l’inutile decorso del quinquennio di cui all’art. 2 della legge 19 novembre 1968 n. 1167 dall’assegnazione - in sede di approvazione del p.r.g. – della destinazione urbanistica di natura vincolistica, non rende l’area interessata priva di qualsiasi destinazione urbanistica, nel caso in cui sussista una specifica disposizione delle norme tecniche di attuazione del p.r.g. medesimo, secondo cui le aree sottoposte a vincoli preordinati all’espropriazione o a vincoli che comportino l’inedificabilità, alla scadenza di tali vincoli, assumeranno una determinata destinazione d’uso.

Come risulta dalla motivazione della sentenza in rassegna, nella specie le norme tecniche di attuazione (che non erano state impugnate) disponevano espressamente che: "Ove le previsioni del PRG, nella parte in cui incidono su beni determinati ed assoggettano i beni stessi a vincoli preordinati all’espropriazione o a vincoli che comportino l’inedificabilità, avessero a perdere efficacia in forza di legge, le aree interessate da dette previsioni assumeranno la destinazione d’uso prescritta per le zone agricole".

Ha osservato in proposito la Sez. IV che conseguentemente l’area in questione, pur dopo la scadenza del vincolo impressole dallo strumento urbanistico, proprio per effetto della ricordata previsione, aveva una precisa destinazione urbanistica. L’onere, imposto in capo al Consiglio Comunale, è quello di attivarsi nell’ipotesi di ricordata automatica destinazione urbanistica, prevista per le aree per le quali siano scaduti i vincoli impressi con il piano regolatore generale. Tale onere, ad opinione della Sez. IV, non riguarda la necessità di stabilire una nuova destinazione urbanistica dell’area stessa, ma è solo finalizzato a verificare che la nuova automatica destinazione non alteri la residua dotazione per le aree per attrezzature e di uso pubblico, provvedendo di conseguenza con apposita variante all’integrazione della dotazione per dette aree (e adottando in tale occasione la disciplina per le aree oggetto anche delle previsioni non più efficaci).

Ad avviso della Sezione IV, pertanto, la norma in parola, lungi dal conferire carattere di provvisorietà all’automatica destinazione agricola prevista per le aree per le quali siano scaduti i vincoli di inedificabilità, si doveva qualificare come norma di salvataggio e al tempo stesso di chiusura del sistema di pianificazione urbanistica comunale, improntato evidentemente all’attualità e all’effettività delle destinazioni urbanistiche, in modo da evitare, per un verso, che possano sussistere aree prive di destinazione urbanistica e, per altro verso, di sollecitare automaticamente l’esercizio dei poteri ufficiosi in materia.

In seguito al decorso del termine di cinque anni dall’imposizione di un vincolo di strumento urbanistico preordinato all’espropriazione, l’area ritorna nella piena disponibilità del proprietario sia pure con le limitazioni derivanti dal nuovo regime urbanistico a seguito della sua trasformazione in “zona bianca”. A tale proposito si segnala la sentenza del T.A.R. Sardegna, Sezione II, 2 novembre 2005, n. 2076: “ Il decorso del termine di cinque anni dall’imposizione di un vincolo di strumento urbanistico preordinato all’espropriazione, comporta, ai sensi dell’art. 2 della legge 19 novembre 1968 n. 1187, la decadenza del vincolo stesso e l’area ritorna nella piena disponibilità del proprietario sia pure con le limitazioni derivanti dal nuovo regime urbanistico a seguito della sua trasformazione in “zona bianca”. L’assenza di volumetria riferibile a detta zona non impedisce la realizzazione di un fabbricato edilizio, ove il titolare di essa abbia la disponibilità di ulteriore area con destinazione edificatoria che gli consenta di avere una volumetria sufficiente alla costruzione in progetto”.

Sempre in riferimento alle c.d. zone bianche, occorre sottolineare che la decadenza dei vincoli comporta logicamente il venir meno della disciplina urbanistica di aree soggette a vincoli e la conseguente applicazione temporanea della disciplina delle c.d. zone bianche( T.A.R. Puglia Bari Sez. II Sent., 31/08/2009, n. 2027).

Il Consiglio di Stato ha chiarito che la scadenza del vincolo di P.R.G., di valenza quinquennale e preordinato alla destinazione di alcune aree ad insediamenti di interesse collettivo, comporta che l'area interessata debba intendersi sottoposta all'applicazione, in luogo dell'originaria destinazione di zona, del regime proprio delle zone bianche (Consiglio di Stato Sez. IV Sent., 29/05/2008, n. 2570).

Alle zone bianche vanno assimilate solo le aree per le quali era stata dettata, a livello di Piano Regolatore Generale, una disciplina vincolistica, successivamente decaduta per mancata attuazione nel quinquennio.

In tale situazione viene palesemente a mancare la programmazione d'uso del territorio e non potrebbe che riespandersi illimitatamente lo ius aedificandi insito nel diritto di proprietà. Tuttavia, l'interesse pubblico ad uno sviluppo edificatorio organico viene tutelato dalla norma di salvaguardia posta dall'art. 4 della L. 10/1977, destinata ad operare là dove non sia altrimenti desumibile la volontà degli organi pubblici preposti alla pianificazione urbanistica (T.A.R. Lazio, Sez. II bis, n. 5292/2001 e T.A.R. Campania Napoli Sez. II Sent., 11/04/2008, n. 2080).

Alla luce delle esposte argomentazioni, la cessata efficacia di un piano attuativo, in tutto o in parte non eseguito, non rende l'area interessata priva di disciplina urbanistica, ma risulta soggetta alle prescrizioni di cui all'art. 4, ultimo comma, della legge 28.01.1977 n. 10, norma oggi confluita nell'art. 9 del Testo Unico delle disposizioni legislative e regolamentari in materia edilizia (d.P.R. n.380/2001).

Tale norma, nello specifico, consente fuori dal perimetro dei centri abitati, gli interventi di nuova edificazione nel limite della densità massima fondiaria di 0,03 metri cubi per metro quadro e, in caso di interventi a destinazione produttiva, la copertura della superficie fino a un decimo dell'area di proprietà, salvi limiti più restrittivi fissati dalle leggi regionali. Al secondo comma aggiunge che sono altresì consentiti gli interventi di ristrutturazione edilizia e in particolare gli interventi rivolti a trasformare gli organismi edilizi mediante un insieme sistematico di opere che possono portare ad un organismo edilizio in tutto o in parte diverso dal precedente. Tali interventi comprendono il ripristino o la sostituzione di alcuni elementi costitutivi dell'edificio, l’eliminazione, la modifica e l'inserimento di nuovi elementi ed impianti. In tale ambito di ristrutturazione sono ricompresi anche gli interventi di demolizione e ricostruzione con la stessa volumetria e sagoma di quello preesistente, fatte salve le sole innovazioni necessarie per l'adeguamento alla normativa antisismica.

Pertanto, nelle c.d. zone bianche è legittimo un intervento di ristrutturazione e di trasformazione degli organismi edilizi.

Il decorso infruttuoso del quinquennio comporta, in ulteriore ipotesi, l'immediata cessazione dell'efficacia dei vincoli urbanistici, non semplicemente della loro esecutorietà, bensì della loro stessa esistenza quale previsione urbanistica, con la conseguenza della necessaria riespansione delle ordinarie facoltà dominicali di utilizzazione del bene da parte del titolare.

È, pertanto, illegittimo il diniego di concessione edilizia eventualmente opposto dal Comune al cittadino in ragione del fatto che l'area interessata sia divenuta, per scadenza del vincolo, "zona bianca", ossia priva di disciplina urbanistica, tanto più qualora l'area dovesse essere ricompresa in una zona non sfornita in assoluto di disciplina urbanistica. In tale ultima ipotesi, infatti, non può operare nemmeno l'art. 4 comma ultimo lett. b) l. n. 10 del 1977 che ammette per le zone bianche esclusivamente interventi di risanamento e manutenzione (TAR Napoli, Sez. II, 22 novembre 2007 / 7 dicembre 2007, n. 15830).

Il carattere delle zone bianche è, sostanzialmente, provvisorio.

Infatti, è incontrovertibile che i limiti di edificabilità riconducibili alle zone bianche hanno per loro natura carattere provvisorio. E’ preciso obbligo dell'amministrazione di colmare al più presto ogni lacuna verificatasi nell'ambito della pianificazione urbanistica dettando per tali zone una nuova disciplina urbanistica (T.A.R. Campania Napoli Sez. II Sent., 31/07/2009, n. 4606 e T.A.R. Puglia Bari Sez. I Sent., 06/05/2008, n. 1079).

Ebbene, la mancanza di un piano particolareggiato o di altro strumento attuativo non può essere legittimamente invocata ad esclusivo fondamento di un eventuale diniego di concessione edilizia, potendosi giustificare la reiezione soltanto nel caso in cui l'amministrazione possa dimostrare che di tali strumenti attuativi vi sia effettiva necessità a causa dello stato di insufficiente urbanizzazione primaria e secondaria della zona. Pertanto l'assenza di strumenti urbanistici attuativi non può costituire ragione idonea, da sola, a correggere il diniego al rilascio della concessione edilizia (T.A.R. Puglia Lecce Sez. I Sent., 19/11/2009, n. 2796).

Ed in vero, l'applicazione indiscriminata, nelle aree già vincolate da piani attuativi, della normativa paralizzatrice di qualsiasi nuova edificazione non soltanto non appare rispondente, in linea di principio, alla ratio a cui si conforma la disciplina delle zone bianche - disciplina prevista per situazioni di assenza di programmazione urbanistica di rango primario - ma verrebbe a reintrodurre un vincolo di inedificabilità senza motivazioni e a tempo indeterminato, in contrasto con i principi consolidati e con evidenti profili di incostituzionalità (T.A.R. Lazio, II bis, n. 7479/2001 e T.A.R. Campania Napoli Sez. II Sent., 11/04/2008, n. 2080).

Dacché i procedimenti per l'adozione degli atti amministrativi generali di pianificazione e di programmazione sono - ex art. 2, L. 7 agosto 1990, n. 241 - soggetti al dovere di conclusione del procedimento e poiché i limiti di edificabilità riconducibili alle zone bianche hanno carattere provvisorio, l'Amministrazione comunale ha il preciso obbligo di provvedere in tempi brevi e con sollecitudine, colmando al più presto ogni lacuna verificatasi nell'ambito della pianificazione urbanistica. Sarebbe altresì illegittimo, pertanto, il silenzio serbato dall'Amministrazione la quale non avesse concluso, in tempi ragionevoli e senza fornire motivazione alcuna in ordine alle eventuali ragioni del ritardo, il procedimento finalizzato alla adozione del nuovo strumento urbanistico generale (T.A.R. Puglia Bari Sez. I, 06/05/2008, n. 1079).

In definitiva, ove sia venuta meno la pianificazione attuativa e ove l'amministrazione comunale non abbia provveduto in tempi brevi a colmare la lacuna verificatasi, il cittadino e gli uffici tecnici, per individuare i limiti della vigente disciplina di uso del territorio, dovranno fare riferimento agli strumenti urbanistici generali, come se mai avesse operato alcun vincolo (T.A.R. Campania Salerno Sez. II, 14/02/2002, n. 114).

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