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martedì 20 settembre 2011

CASSAZIONE: DANNI AL CONIUGE TRADITO

Cassazione: via libera al risarcimento danni per il coniuge tradito

Anche le corna danno diritto al risarcimento danni. Proprio così. E' la Corte di Cassazione a stabilirlo con una sentenza che apre la strada per le vittime dei tradimenti alle giuste richieste risarcitorie. Ma non basta. Si può essere risarciti anche se la separazione è avvenuta in modo consensuale ossia senza l'addebito di colpa all'altro coniuge. Naturalmente, avverte la Corte, occorre distinguere perché c'è tradimento tradimento. Il risarcimento dei danni si può chiedere solo se il coniuge che ne fa domanda dimostra di aver subito una "lesione di un diritto costituzionalmente garantito". È il caso in cui ad esempio si dimostri che il tradimento "per le sue modalita' e in relazione alla specificita' della fattispecie, abbia dato luogo a lesione della salute del coniuge". In altri termini, i danni si possono chiedere, spiega la Corte (sentenza 18853 /2011) , se il tradimento "abbia trasmodato in comportamenti che, oltrepassando i limiti dell'offesa di per se' insita nella violazione dell'obbligo in questione" e "si siano concretizzati in atti specificamente lesivi della dignita' della persona, costituente bene costituzionalmente protetto". Il caso esaminato da Piazza Cavour riguarda il caso di una donna che nei primi due gradi del giudizio si era vista respingere la domanda di risarcimento danni che aveva rivolto al suo ex marito fedifrago. I due coniugi si erano separati consensualmente e lei aveva chiesto il risarcimento del danno biologico ed esistenziale causatole dalla relazione extraconiugale che l'uomo aveva intrattenuto con un'altra donna sposata. La Corte dando ragione al coniuge tradito ha ora rimesso la causa alla Corte d'Appello di Genova che dovrà rivalutare il caso attenendosi al dettato della Cassazione.

CASSAZIONE: CANNA FUMARIA

Cassazione: canna fumaria troppo vicina? Scatta il risarcimento danni

È tenuto a risarcire i vicini di casa il proprietario dell'appartamento che ha installato la canna fumaria a meno di 10 metri di distanza producendo immissioni che superano la normale tollerabilità. È questo il contenuto della sentenza n. 18262 depositata il 6 settembre 2011 con cui la Corte di Cassazione, seconda sezione civile, ha rigettato il ricorso del proprietario di un appartamento che aveva posizionato l'impianto ad una distanza di 3,5 metri dall'appartamento limitrofo. Dopo il ricorso al giudice di pace e al tribunale, i convenuti, condannato sia in primo che secondo grado, proponevano ricorso per la cassazione della sentenza. Gli Ermellini, rigettando le censure dei coniugi proprietari dell'appartamento da cui provenivano le esalazioni, hanno spiegato che "il giudice di appello ha dato conto, infatti, sulla base della C.T.U., che la prossimità della canna fumaria all'appartamento degli attori (distante appena tre metri e mezzo) e l'uso della canna fumaria per il riscaldamento domestico e per la cottura dei cibi, comportava il superamento di tale limite, non rilevando che, in occasione dell'esperimento peritale, non fossero state constate immissioni di fumo a causa della mancanza di vento". I giudici di legittimità hanno da ultimo osservato che, in riferimento alle censure sollevate dai ricorrenti in riferimento all'art. 844, co. 2, c.c., "il criterio della priorità dell'uso dell'impianto (...) ha carattere sussidiario e facoltativo e che, pertanto, il giudice di merito non è tenuto a farvi ricorso, una volta ritenuto sulla base di altri accertamenti in fatto, che sia stata superata la soglia della normale tollerabilità delle immissioni, anche con riferimento alla violazione della distanza minima della canna fumaria rispetto all'immobile degli attori, distanza che il regolamento edilizio stabiliva in 10 metri. Tale violazione risulta correttamente apprezzata dal giudice assieme agli ulteriori accertamenti emersi dall'indagine peritale per ritenere le immissioni nocive e superiori al limite della normale tollerabilità, considerato che detta distanza minima mira ad evitare comunque un danno alla salubrità e sicurezza del fondo del vicino".

CASSAZIONE: DANNI SULLA RISOLUZIONE DI CONTRATTO PRELIMINARE

Cassazione: se giudice dichiara risolto contratto preliminare chi chiede i danni non ha diritto alla caparra

In materia di contratti, con la sentenza n. 18264, deposita il 6 settembre 2011, la Corte di Cassazione ha stabilito che se il giudice risolve il contratto preliminare, chi richiede di danni non ha diritto alla caparra. Senza negozio da cui recedere, infatti, si riduce la richiesta risarcitoria. In particolare, i giudici della seconda sezione civile hanno spiegato che per effetto del passaggio in giudicato della sentenza sulla risoluzione del contratto preliminare di compravendita, si determina la preclusione, per le parti adempienti, dal far valere, nel separato giudizio avente ad oggetto il risarcimento del danno "da risoluzione", il recesso dal contratto, al fine di poter fruire dei commoda della liquidazione forfettaria del danno, garantita dal diritto di incamerare la caparra: essendo infatti venuto meno il negozio dal quale recedere, e restringendosi pertanto la richiesta risarcitoria ai soli danni che positivamente si sia dimostrato essere collegati causalmente alla risoluzione, la domanda riconvenzionale dei promittenti venditori di incamerare la caparra è divenuta inammissibile.