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martedì 13 dicembre 2011

IMMOBILIARE: VENDITA IMMOBILI PRIVI DI CONCESSIONE

Compravendita di immobili privi di concessione edilizia o di concessione in sanatoria

La sanzione della nullità prevista dagli art. 17 e 40 della l. 28 febbraio 1985 n. 47, per gli atti di compravendita di immobili privi di concessione edilizia o di concessione in sanatoria, preclude l'accoglimento di una domanda di emissione di una sentenza costitutiva che tenga luogo del contratto non concluso ex art. 2932 c.c. nel caso in cui risulti che l'immobile per il quale era stato stipulato il preliminare di vendita sia affetto da irregolarità amministrative (rectius: da varianti essenziali) che lo rendono non commerciabile (alla stregua del principio la Cassazione ha confermato la sentenza dei giudici di merito secondo cui l'accoglimento della domanda ex art. 2932 c.c. avanzata nei confronti società promittente venditrice era precluso dal fatto che gli immobili oggetto dei preliminari di compravendita erano caratterizzati da difformità e variazioni rispetto al progetto assentito dalla concessione edilizia; per detti immobili il comune aveva prima ordinato la sospensione dei lavori e poi rigettato la richiesta di variante).

Con atto di citazione notificato ai sensi dell'art. 143 c.p.c., il 3.8.1995 T.G. conveniva in giudizio dinanzi al Tribunale di Latina la S.r.l. Omissis già denominata S.r.l. omssis chiedendo pronunciarsi sentenza costitutiva del diritto di proprietà dell'istante sugli immobili di cui ai preliminari di vendita intervenuti tra le parti in data 16.4.1992, 16.5.1992 e 29.4.1993, la riduzione del prezzo pattuito per effetto delle difformità e dei vizi della cosa venduta e la condanna della convenuta al risarcimento dei danni conseguenti al mancato trasferimento della proprietà dell'immobile ed al suo mancato godimento; a sostegno della domanda l'attore deduceva di aver versato quasi integralmente il prezzo di acquisto degli immobili oggetto dei menzionati preliminari in qualità di promissario acquirente di beni da realizzarsi da parte della promittente venditrice in base a concessione edilizia.

La Società convenuta rimaneva contumace.

Dopo l'interruzione del processo a causa del fallimento della omissis, il T. procedeva alla sua riassunzione nei confronti della curatela fallimentare che, nel costituirsi in giudizio, eccepiva l'incompetenza dell'adito Tribunale L. Fall., ex art. 24.

Con sentenza del 19.11.1997 l'adito Tribunale dichiarava l'improcedibilità della domanda.

Avverso tale sentenza il T. proponeva gravame; il Fallimento della Omissis restava contumace.

Nel corso del giudizio interveniva C.N. a sostegno di un suo preteso diritto di proprietà in ordine ad uno dei locali promessi in vendita al T..

Con sentenza dell'11.6.2002 la Corte di Appello di Roma ha dichiarato inammissibile l'intervento del C., ha dichiarato procedibile la domanda ex art. 2932 c.c., proposta dal T. nei confronti del suddetto fallimento e l'ha rigettata nel merito, ed ha confermato la decisione di primo grado per quanto riguarda l'inammissibilità della domanda di risarcimento del danno.

Il Giudice di Appello, dopo aver ritenuto l'ammissibilità della domanda ex art. 2932 c.c., nei confronti del fallimento della società promittente venditrice, ha rilevato che il suo accoglimento era precluso dal fatto che gli immobili oggetto dei preliminari sopra richiamati erano caratterizzati da difformità e variazioni rispetto al progetto assentito dalla concessione edilizia.

Per la cassazione di tale sentenza il T. ha proposto un ricorso articolato in un unico motivo; il fallimento della società Omissis ed il C. non hanno svolto attività difensiva in questa sede.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

Con l'unico motivo formulato il ricorrente, denunciando violazione e falsa applicazione degli artt. 1351 - 2932 c.c., L. n. 47 del 1985, artt. 17 - 40, D.P.R. 6 giugno 2001, n. 380, art. 46, ed insufficiente motivazione, censura la sentenza impugnata per aver ritenuto non accoglibile la domanda ex art. 2932 c.c., dell'esponente a causa delle irregolarità amministrative inerenti la realizzazione degli immobili che li rendevano non commerciabili.

Il T. rileva che in tal modo non è stato considerato che la L. 28 febbraio 1985, n. 47, artt. 17 e 40, si applicano soltanto ai Contratti ad effetti reali e non quindi ai Contratti preliminari.

Il ricorrente sostiene inoltre che la pretesa incommerciabilità degli immobili oggetto dei preliminari per cui è causa era esclusa dalla preesistenza del titolo concessorio e dal rilievo che le difformità e le variazioni riscontrate davano solo luogo a vizi di costruzione tali da legittimare la riduzione del prezzo di vendita.

La censura è infondata.

Il Giudice di Appello ha ritenuto precluso l'accoglimento della domanda attrice dal fatto che gli immobili oggetto dei suddetti preliminari erano contrassegnati da difformità e variazioni rispetto al progetto assentito dalla concessione edilizia, cosicché alla società Omissisvera stato notificato un provvedimento di sospensione dei lavori in data 6.12.1994 e, per la richiesta di variante non accolta, era stato comunicato provvedimento comunale l'8.2.1995; è quindi evidente che ricorrevano i presupposti per la sanzione della nullità prevista dalla L. 28 febbraio 1985, n. 47, artt. 17 e 40, riguardo ad immobili privi di concessione edilizia o di concessione in sanatoria.

L'assunto del ricorrente secondo cui tale normativa non riguarda i Contratti preliminari ma solo i contratti con effetti traslativi è corretto ma irrilevante nella fattispecie, laddove la formulazione di una domanda ex art. 2932 c.c., tende, tramite la pronuncia di sentenza costitutiva, a produrre gli stessi effetti del contratto non concluso con conseguente applicazione della normativa ora richiamata; il fatto quindi che la sanzione della suddetta nullità non si estende ai Contratti preliminari è dovuto, oltre che al tenore letterale dell'art. 40 sopra citato, anche alla circostanza che successivamente al contratto preliminare può intervenire la concessione in sanatoria degli abusi edilizi commessi, con la conseguenza che, in questa ipotesi, rimane esclusa la sanzione per il successivo Contratto di vendita, ovvero si può da luogo alla pronuncia di sentenza ex art. 2932 c.c. (Cass. 11.7.2005 n. 14489); mentre nella fattispecie, invece, non risulta sussistere una simile evenienza, non avendo lo stesso ricorrente neppure prospettato che le evidenziate difformità e variazioni relative agli immobili oggetto dei preliminari per cui è causa fossero state superate dalla sopravvenuta emissione di una concessione in sanatoria.

Il ricorso deve quindi essere rigettato; non occorre procedere ad alcuna pronuncia sulle spese di giudizio non avendo le parti intimate svolto alcuna attività difensiva in questa sede.

EDILIZIA: CONFRONTO TRA IL T.U. E ART. 20

Confronto tra il T.U. per l’edilizia e l’art. 20 del decreto sviluppo 70/2011: la regola della sanatoria senza silenzio assenso vale solo per il permesso di costruire ordinario.

A causa dei recenti interventi legislativi che hanno inciso sull’articolato normativo del T.U. per l’edilizia, emerge l’apparente contrasto tra l’art. 36, secondo cui “sulla richiesta di permesso in sanatoria il dirigente o il responsabile del competente ufficio comunale si pronuncia con adeguata motivazione, entro 60 giorni decorsi i quali la richiesta si intende rifiutata”, e l’art. 20, modificato dal decreto legge 70/2011, dedicato al procedimento ordinario (non in sanatoria) del rilascio del permesso di costruire. Nella nuova formulazione, al comma 8, si legge infatti che decorso inutilmente il termine per l'adozione del provvedimento conclusivo, se il dirigente o il responsabile dell'ufficio non abbia opposto motivato diniego, sulla domanda di permesso di costruire si intende formato il silenzio-assenso, fatti salvi i casi in cui sussistano vincoli ambientali, paesaggistici o culturali.

Mentre nella prima norma, gli effetti del silenzio sono regolamentati direttamente dalla legge, poiché l'inerzia dell'amministrazione significa che l'istanza è respinta, tanto che l'interessato potrà impugnare l'atto di diniego implicito, nella seconda disposizione invece il silenzio ha valore di provvedimento implicito di accoglimento. Anche in questo caso chi ha interesse potrà impugnare il permesso di costruire silente con un ricorso al Tribunale amministrativo regionale.

Sul piano applicativo merita osservare che, la modifica dell'articolo 20 del Testo unico per l'edilizia non incide sul procedimento di permesso di costruire in sanatoria. Ciò è impedito dall'articolo 20 comma 4 della legge 241/1990, che disciplina in generale l'istituto del silenzio-assenso. Infatti, stando all'articolo 20 le disposizioni sul silenzio assenso non si applicano, tra le altre ipotesi, ai casi in cui la legge qualifica il silenzio dell'amministrazione come rigetto dell'istanza. Per arrivare al silenzio assenso sul permesso di costruire in sanatoria occorrerebbe, dunque, una modifica esplicita dell'articolo 36 del Testo unico per l'edilizia.

Va, comunque, ricordato che, per effetto dell'articolo 20 della legge 241/1990, anche nel caso di permesso di costruire tacito l'amministrazione competente può sempre assumere determinazioni in via di autotutela, ai sensi degli articoli 21-quinquies e 21-nonies, sempre della legge 241/1990 e cioè revoca o annullamento d'ufficio, come può avvenire anche per i provvedimenti espressi.

Tornando alla sanatoria, dal decreto sviluppo non sono stati toccati i presupposti sostanziali e, in particolare, la cosiddetta doppia conformità: il responsabile dell'abuso, o l'attuale proprietario dell'immobile, possono ottenere il permesso in sanatoria se l'intervento risulti conforme alla disciplina urbanistica ed edilizia vigente sia al momento della realizzazione dello stesso, sia al momento della presentazione della domanda.

A tal proposito, emerge un evidente contrasto, in particolare, tra due indirizzi giurisprudenziali.

Da un lato, infatti, l'orientamento più rigoroso ritiene che sul principio di buon andamento, che fa ritenere illogico che si demolisca ciò che, al momento stesso, potrebbe essere autorizzato in base allo strumento vigente, debba prevalere quello di legalità: quindi non è possibile l'estensione del permesso di sanatoria al di fuori dei presupposti della cosiddetta «doppia conformità» e non può trovare applicazione l'istituto della cosiddetta sanatoria «giurisprudenziale» o «impropria», ammessa nell'ipotesi in cui le opere, inizialmente abusive, diventino successivamente conformi alle norme urbanistico-edilizie e alle previsioni degli strumenti di pianificazione per effetto di normative o disposizioni pianificatorie sopravvenute.

Dall’altro, invece, è stato affermato che l'articolo 36 del Testo unico per l'edilizia, nella parte in cui richiede che l'opera sia conforme tanto alla normativa urbanistica vigente al momento della realizzazione dell'opera, quanto a quella vigente al momento della domanda di sanatoria, è una disposizione contro l'inerzia dell'amministrazione: tale regola «non preclude il diritto a ottenere la concessione in sanatoria di opere che, realizzate senza concessione o in difformità dalla concessione, siano conformi alla normativa urbanistica vigente al momento in cui l'autorità comunale provvede sulla domanda in sanatoria» (Consiglio di stato, sezione sesta, n. 2835 del 07.05.2009).

DENARO: LIMITE DI TRACCIABILITA L.201 06-12-2011

Con il Decreto Legge n. 201 di ieri 06/12/2011, entrato in vigore il giorno stesso, è stato nuovamente abbassato il limite per la tracciabilità delle operazioni di trasferimento di denaro tra soggetti diversi, senza l’ausilio di Banche e Poste.

Di conseguenza, le persone che intendono utilizzare denaro contante per effettuare operazioni di acquisto da altri soggetti economici (negozianti, rivenditori, ecc.) possono continuare a farlo, ma al di sotto del limite di euro 1.000 per singola operazione, anziché con il precedente limite di € 2.500,00.

Se invece l’operazione comporta un esborso uguale o superiore a 1.000 euro, al fine di non incorrere nella possibilità di vedersi applicare la sanzione amministrativa pecuniaria che prevede, già a far tempo dal 13.05.2010 con il D.L. 78 il minimo di 3.000 euro, sarà necessario utilizzare strumenti di pagamento tracciabili come l’assegno bancario o postale che riportino (obbligatoriamente fin dalla sua emissione e con la medesima grafia del compilatore; occorre evitare che sia aggiunto successivamente da un altro soggetto, in quanto si potrebbe presumere una precedente emissione “in bianco”) l’indicazione del beneficiario (nome e cognome o ragione sociale) e su cui sia apposta la clausola di non trasferibilità.

Si spera che venga introdotta in sede di conversione in legge una norma transitoria che preveda la non applicabilità di sanzioni fino al 31.12.2011, come già fatto con il D.L. 138/2011 nel mese di agosto.

La riduzione del limite per l’uso di contanti e assegni opera anche per i libretti bancari e postali al portatore, la cui estinzione o riduzione al di sotto del nuovo limite deve essere effettuata entro il 31.12.2011 (il precedente termine era il 30.09.11 per il limite di € 2.500).

Già il D.L. 78 del 13.05.2010 aveva precisato che l’importo di € 1.000,00 (all’epoca di € 5.000) deve considerarsi riferito alla somma complessiva dell’operazione unitaria: pertanto risulterà vietato anche suddividere “artificiosamente” un unico importo di € 1.500,00 (valore dell’acquisto) in 3 pagamenti in contanti da € 500,00 ciascuno, ancorché inferiori al limite previsto (c.d. operazioni frazionate), fatta salva la normale rateazione commerciale.

Il rilascio di assegni circolari e di vaglia postali e cambiari può essere richiesto per iscritto dal cliente, senza apposizione della clausola di non trasferibilità, solo per importi inferiori ad € 1.000,00.

Oltre detta soglia la tracciabilità potrà essere garantita, naturalmente, dal bonifico bancario e dalla moneta elettronica, come la carta di credito, il bancomat o la carta prepagata.

AFFITTI: ABITABILITA E CONTRATTI

SUPREMA CORTE DI CASSAZIONE - SEZIONE III CIVILE - Sentenza 23 aprile 2008, n. 10593
«in particolare il mancato rilascio di concessioni, autorizzazioni o licenze amministrative relative alla destinazione d'uso dei beni immobili - ovvero alla abitabilità dei medesimi - e, quindi, anche la sopravvenuta loro revoca non è di ostacolo alla valida costituzione di un rapporto locatizio, sempre che vi sia stata, da parte del conduttore, concreta utilizzazione del bene.

Esclusivamente nella ipotesi in cui il provvedimento amministrativo necessario per la destinazione d'uso convenuta sia stato definitivamente negato al conduttore è riconosciuta la facoltà di chiedere la risoluzione del contratto (Cass. 21 dicembre 2004, n. 23695; Cass. 12 settembre 2000, n. 12030; Cass. 16 settembre 1996, n. 8285).».