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venerdì 8 aprile 2011

CERTIFICATO ENERGETICO: SU VENDITE E LOCAZIONI

Certificazione energetica: nuovi obblighi per vendita e locazione(06/04/2011)Consiglio Nazionale del Notariato
A partire dal 29 marzo 2011 è entrato in vigore il D.Lgs n. 28/2011 in tema di promozione dell’uso di energia da fonti rinnovabili, pubblicato nel supplemento ordinario n.81 della Gazzetta Ufficiale n. 71 del 28 marzo 2011, che ha introdotto il nuovo comma 2-ter dell’art. 6 del dlgs 192/2005 (inserito a seguito dell’apertura di una procedura di infrazione a carico dello Stato Italiano, che – in difformità rispetto alla Direttiva Comunitaria – aveva abrogato l’obbligo di consegna della certificazione energetica).

Il nuovo comma 2 ter prescrive l’inserimento negli atti di compravendita e di locazione di un’apposita clausola sulla certificazione energetica dei fabbricati, ricollocando tale aspetto al centro della fase circolatoria degli immobili. Resta da valutare l’impatto che tale nuova disposizione avrà sulle singole Regioni che hanno legiferato.

ATTO NOTARILE:LA SUA FUNZIONE- DICHIARAZIONI FALSE

Contratto di compravendita immobiliare, Falsa attestazione di possesso di procura in atto notarile(07/04/2011)Corte di cassazione penale sez. V, 20 luglio 2010, n. 28529
L'atto pubblico di compravendita, infatti, ha la funzione tipica di trasferire un bene mobile o immobile da un soggetto all'altro, previa corresponsione del prezzo, ma non quella di attestare la verità delle dichiarazioni dei contraenti in ordine alle loro qualità personali (sulla necessità che i fatti attestati dal privato abbiano una rilevanza probatoria inerente alla essenza funzionale dell'atto vedi Cass., Sez. V, 31 marzo 1969, CED 112068).

Ed, infatti, secondo la legge notarile il contraente è obbligato a declinare all'ufficiale rogante le sue esatte generalità - nome, cognome e paternità - perchè di ciò fa fede l'atto pubblico di compravendita, ma non anche le sue qualità personali.

Del resto in un caso del tutto analogo la Suprema Corte ha stabilito che non integra il reato di falsità ideologica commessa dal privato in atto pubblico - violazione dell'art. 483 c.p. - la condotta di colui che dichiari falsamente al notaio - in sede di redazione di un atto pubblico di donazione - di avere usucapito alcuni immobili oggetto della donazione in quanto detto atto, destinato a trasferire la proprietà dei beni donati al donatario, non è, invece, destinato a provare la verità dei fatti dichiarati dal donante (così Cass., Sez. V, 4 dicembre 2007 - 4 febbraio 208, n. 5365, CED 239110).

È vero che sempre la Suprema Corte (Cass., Sez. V, 3 giugno 2008, sentenza n. 35999) ha ravvisato il reato in discussione nella condotta di un privato, parte di un contratto di compravendita immobiliare, che aveva dichiarato falsamente al notaio rogante la conformità dell'immobile alle caratteristiche previste dalla concessione ed ivi autorizzate, ma è pure vero che la stessa Corte ha chiarito che sussiste a carico del privato l'obbligo giuridico di dire la verità in ordine alla condizione giuridica dell'immobile oggetto di alienazione e alla corrispondenza dello stesso agli estremi della concessione, trattandosi di obbligo preordinato alla tutela di interessi pubblici, connessi alla ordinata trasformazione del territorio, prevalenti rispetto agli interessi della proprietà.

Tale decisione, in effetti, non è in contrasto con l'indirizzo giurisprudenziale dinanzi segnalato perchè conferma che l'atto di compravendita non è in linea generale funzionalmente destinato a provare la verità di quanto dichiarato dalle parti, essendo prevista siffatta funzione soltanto in relazione a specifiche dichiarazioni richieste espressamente dalla legge per la tutela di prevalenti interessi pubblici.

La correttezza di quanto fin qui affermato si desume altresì dal fatto che il contratto stipulato dal falsus procurator, ovvero da colui che ha contratto come rappresentante senza averne i poteri, non è, da un punto di vista civilistico, illecito, ma semplicemente annullabile, tanto è vero che, ai sensi dell'art. 1399 c.c., il contratto può essere sempre ratificato dal rappresentato.

In siffatte situazioni il falsus procurator assumerà responsabilità nei confronti, oltre che del rappresentato, anche nei confronti del terzo acquirente in buona fede.

Si può, in conclusione, affermare che il contratto di compravendita non ha la funzione tipica di provare la verità di quanto dichiarato dalle parti in ordine alle loro qualità personali, cosicchè non è ravvisabile, per quel che prima si è detto, nel caso di specie l'elemento oggettivo del reato contestato. Ne consegue che il reato contestato non sussiste, e tanto deve essere dichiarato da questa Corte, previo annullamento senza rinvio della sentenza impugnata. L'accoglimento del primo motivo di impugnazione rende ovviamente superfluo l'esame degli altri motivi di ricorso

EDILIZIA: CHIUSURA DEL BALCONE O TERRAZZA IN VERANDA

Chiusura del balcone in veranda: quando è legittima, quali sono i limiti e quali le conseguenze?(07/04/2011)
“Verandare”– si tratta chiaramente di un neologismo – significa chiudere con delle vetrate un balcone o un terrazzo. Si tratta di un’operazione molto ricorrente i cui effetti non si riverberano solamente in campo condominiale ma anche a livello urbanistico. Vale la pena capire quando quest’operazione è legittima e quali sono le conseguenze per i casi d’illiceità.
Partiamo dai profili urbanistici. E’ sempre consigliabile capire, in relazione allo specifico intervento da porre in essere, se la realizzazione della veranda è sottoposta a qualche genere di autorizzazione (es. D.I.A.). In tal caso, prima d’ogni intervento esecutivo è necessario ottenerla per evitare le sanzioni (di carattere amministrativo e/o penale) che l’assenza della stessa comporterebbe. A livello condominiale il problema è sostanzialmente uno: posto l’intervento come opera su parti individuali (tutto l’area del balcone lo è), la doglianza che potrebbe essere sollevata è relativa alla possibile alterazione del decoro architettonico. La norma di riferimento è l’art. 1122 c.c. e con riferimento al significato della parola danno da essa contenuto la Suprema Corte di Cassazione, in più occasioni, ha avuto modo di significare che “ il concetto di danno, cui la norma fa riferimento, non va limitato esclusivamente al danno materiale, inteso come modificazione della conformazione esterna o della intrinseca natura della cosa comune, ma esteso anche al danno conseguente alle opere che elidono o riducono apprezzabilmente le utilità ritraibili della cosa comune, anche se di ordine edonistico od estetico (v. Cass. 27.4.1989, n. 1947), per cui ricadono nel divieto tutte quelle modifiche che costituiscono un peggioramento del decoro architettonico del fabbricato. Decoro da correlarsi non soltanto all’estetica data dall’insieme delle linee e delle strutture che connotano il fabbricato stesso e gli imprimono una determinata armonia, ma anche all’ aspetto di singoli elementi o di singole parti dell’edificio che abbiano una sostanziale e formale autonomia o siano comunque suscettibili per sé di considerazione autonoma (v. Cass. 24.3. 2004, n. 5899). (così, ex multis, Cass. 19 gennaio 2005, n. 1076).” In sostanza, il condomino pur avendo preventivamente ottenuto l’autorizzazione amministrativa ad operare potrebbe vedersi eccepita, da parte del condominio, l’alterazione del decoro dello stabile. D’altronde la stessa pubblica amministrazione rilascia le autorizzazioni facendo salvi i diritti dei terzi o a volte proprio richiedendo il placet del condominio rispetto all’intervento. Sul punto, per evitare qualsiasi contestazione, è sempre meglio ottenere il consenso scritto di tutti i condomini, salvo che una norma del regolamento contrattuale non preveda una diversa maggioranza.

La chiusura di una veranda, infine, potrebbe portare ad una richiesta di revisione delle tabelle millesimali. Ciò è possibile quando le stesse non siano più lo specchio del reale valore delle unità immobiliari (art. 69 disp. att. c.c.). In tal caso alla modificazione dei millesimi rispettosi dei criteri legislativi può provvedersi in sede assembleare con le maggioranze indicate per l’approvazione la modifica del regolamento (cfr. cass. SS.UU. n. 18477/10).